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venerdì 24 dicembre 2010

Un cibo che voi non conoscete


[31] Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbi, mangia». [32] Ma egli rispose: «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». [33] E i discepoli si domandavano l'un l'altro: «Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?». [34] Gesù disse loro: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. [...]
Gv 4,31-34


«Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera»
Questa frase è una chiave di accesso per un nuovo stato di coscienza. La comprensione profonda di questa frase può proiettarci in un solo istante in un’altra dimensione dell’esistere. E possiamo farlo Adesso.

Per accostarsi a una frase di tale potenza è però necessario entrare in uno stato interiore molto... molto particolare: uno stato di coscienza ricettivo, uno stato di abbandono vigile, uno stato di completa fiducia nelle parole di Gesù.
È necessario che la fiducia nel potere di questa frase sia tale da pervadere interamente i nostri corpi e disporli in uno stato di ricezione. E’ possibile essere trasformati per sempre da queste parole, ma a patto di accoglierle senza riserve.

Proviamo a immaginare lo stato di coscienza in cui doveva trovarsi l’uomo che ha osato pronunciare una frase del genere duemila anni fa.
Cosa provava mentre pronunciava questa frase? Quale indicibile Forza sottende questo pensiero apparentemente privo di significato logico?

Ciò che dovrebbe sconvolgerci da capo a piedi – e allo stesso tempo attrarre la nostra curiosità – è il fatto che Gesù sia effettivamente sempre vissuto, da allora fino a oggi, in una realtà dove per ottenere di che sostenersi tutti i giorni è sufficiente fare la Volontà del Padre. Un uomo del genere si muove nella materia con la sicurezza di qualcuno che non deve mai preoccuparsi di ciò che mangerà, in quanto sta già facendo la Volontà del Padre, e questo è il suo unico Cibo!

Per assicurarsi la sopravvivenza egli ha quindi rinunciato alla sua volontà personale (peraltro illusoria) e ai suoi desideri di sopravvivenza. Gesù ci dice che per vivere in eterno senza preoccupazioni dobbiamo morire alla volontà della nostra piccola personalità e identificarci interamente con una Volontà Superiore.

«Mio cibo».
Cosa è il cibo? È il sostentamento dell’essere vivente, è l’energia che gli permette di continuare a vivere. Noi siamo costantemente preoccupati per il nostro sostentamento: per quello che faremo, diremo, mangeremo... domani. Viviamo in ansia per il futuro che ci aspetta. Questo è il nostro modo di affrontare la vita: un continuo preoccuparsi per la sopravvivenza futura, una continua ricerca di cibo: fisico, emotivo e mentale.

«Mio cibo è fare la volontà di colui».
Questo è un modo rivoluzionario di intendere il nutrimento. Il cibo non è più qualcosa che noi cerchiamo e prendiamo dall’esterno, il cibo diventa un fare qualcosa per qualcuno. Gesù dice che per poterci nutrire, anziché prendere qualcosa e mangiarlo, è sufficiente compiere qualcosa. Il FARE la Volontà del Padre diventa nutrimento.
Mentre agisco facendo la Volontà del Padre il Padre mi passa attraverso, mi usa e nell’usarmi mi nutre. Rimetto la mia volontà nella Sua: Lui conosce gli scopi e trova i mezzi per realizzarli.

«Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato».
Quindi spiega anche di quale genere deve essere questo »fare«. Non sono io a fare, ma qualcuno fa attraverso di me, la volontà di qualcuno si esprime per mio mezzo.
Questo qualcuno è Colui che mi ha mandato. In effetti tutti noi siamo stati mandati, non abbiamo alcuna coscienza di aver scelto un giorno di venire in questo posto, e a nulla vale convincersi che siamo anime che hanno scelto i loro destini: la realtà è che ci ritroviamo gettati nella materia senza alcun ricordo precedente. È quindi giusto che cerchiamo e rispettiamo la Volontà di chi ci ha mandato, il quale, chiunque esso sia, avrà avuto i suoi scopi!

«Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera».
«Compiere la sua opera». Queste parole dovrebbero riempirci di orgoglio. Io posso aiutare il Padre a compiere la Sua opera, e questo diventa il mio cibo. IL PADRE HA BISOGNO DI NOI, NON PUÒ COMPIERE LA SUA OPERA SE NON GRAZIE A NOI, NON PUÒ FARE NULLA SENZA NOI. NOI POSSIAMO AIUTARE IL PADRE A REALIZZARE SE STESSO. Questa affermazione è molto più concreta di quanto non appaia. Noi non nasciamo a caso e una volta nati non siamo liberi di occuparci dei fatti nostri: siamo stati previsti per operare all’interno di un disegno. Potrà forse apparire strano, ma se ci siamo è perché serviamo a qualcuno, esattamente come un martello o una sedia.
Non solo ho il privilegio di compiere la Sua opera, ma il farlo mi dà anche nutrimento e mi libera dai vincoli della sopravvivenza. Il premio per il mio mettermi al servizio dei Suoi scopi è una vita che diviene colma di Gioia, perché privata dell’ossessione della sopravvivenza.

Perché Gesù ci parli è sufficiente chiamarlo. Egli è l’unico personaggio importante di questo pianeta che può essere raggiunto da chiunque in qualsiasi momento!
Adesso lui è presente di fronte a noi, la sua faccia a pochi centimetri dalla nostra. Sentiamo il suo calore, la sua fermezza, la sicurezza che lo sostiene in ogni suo atto.
Immaginiamo che ci guardi: ora siamo invasi da lui. Immaginiamo che a un dato momento sconvolga tutto il nostro essere facendo vibrare lentamente ma inesorabilmente questi suoni all’interno dei nostri corpi:
«Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera»

Questa frase – pronunciata da qualcuno che vive tutti i giorni secondo tale principio – produce inevitabilmente una trasmutazione alchemica. I nostri corpi sono scossi, si ribellano, reagiscono, non vogliono accettare un’affermazione così pericolosa per la loro sopravvivenza, ma la forza trasformativa di questi suoni è implacabile, non può essere arrestata.
Allora la Compassione con cui vengono pronunciate queste parole tranquillizza i nostri corpi. Essi capiscono che possono fidarsi, che non sono in pericolo... tutt’altro. I corpi si arrendono e le cellule compiono il loro mutamento.

Finalmente ci ritroviamo proiettati in un altro stato di coscienza, quello di un uomo che trae nutrimento dal compiere tutti i giorni la Sua opera, qualcuno che si muove e parla nella vita quotidiana compiendo la Sua opera, lasciando passare l’Opera del Padre attraverso le sue cellule istante dopo istante. Un uomo che è sazio del compiere l’Opera del Padre, un uomo che sente il suo Cuore pieno, traboccante in ogni momento della giornata.
Adesso possiamo percepire chiaramente – e possiamo quindi registrare dentro di noi per sempre – la differenza fra due distinti stati di coscienza: quello di un uomo che prende le sue decisioni quotidiane e compie i suoi atti guidato inconsciamente dall’ansia del dover sopravvivere, e quello di un uomo che non è più preoccupato, che non è più toccato da ansie perché vive nello stato d’animo del compiere l’Opera del Padre... che è già di per sé nutrimento.

Pensiamo alla differenza tra lo stringere una mano compiendo l’Opera del Padre e lo stringere una mano ansiosi per la propria sopravvivenza. Pensiamo alla differenza tra l’andare a votare compiendo l’Opera del Padre e l’andare a votare ansiosi per la propria sopravvivenza. Ma – si badi bene – non si tratta di PENSARE di compiere l’opera del Padre, bensì di FAR VIBRARE I PROPRI CORPI DEL COMPIERE L’OPERA DEL PADRE.

«Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera»
Per mezzo dell’unione magica di Forza e Compassione – Rigore e Misericordia – Gesù ha il potere di »inchiodare« queste parole dentro di noi. È importante capire il significato dell’atto dell’inchiodare: inchiodare qualcosa nella materia significa trasformare per sempre la materia. Se permettiamo a Gesù di inchiodare queste parole dentro di noi, la nostra materia sarà trasmutata. È indispensabile che i principi vengano inchiodati, proprio come è stato indispensabile che lui fosse inchiodato alla Terra affinché avvenisse la trasformazione di questa.

Cosa bisogna fare per compiere la Sua Opera? La domanda non può nemmeno sorgere nel momento in cui la nostra coscienza si polarizza nella sfera della qualità anziché in quella della quantità. CI STIAMO INFATTI OCCUPANDO DI UNO STATO D’ANIMO DI FONDO DA CUI PARTIRE PER AFFRONTARE LA VITA, una vibrazione interiore da mantenere lungo tutta la nostra giornata, e non di una serie di particolari atti da compiere nel tentativo di “fare la sua volontà”.
Io faccio la Volontà di Colui che mi ha mandato e compio la Sua Opera se vivo costantemente in questo stato d’animo di Servizio e Fiducia, e proprio questo stato d’animo, questa vibrazione superiore, sarà il mio cibo.


 Salvatore Brizzi intervista



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Salvatore Brizzi
NON DUCOR DUCO
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giovedì 16 dicembre 2010

Intervista a Salvatore Brizzi


Il post della settimana è costituito da questa mia intervista, tenuta sabato 27 novembre al Centro Althea di Milano (sede dei miei corsi), organizzata da Jonathan Falcone della Libreria Esoterica di Milano, realizzata dalla giornalista Stefania Cubello.

Gli argomenti trattati nell’intervista:
La sofferenza.
Il collasso della mente.
Alchimia ed emozioni negative.
La Volontà di esserci.
Il senso di insicurezza.
L’Amore e la Sicurezza sono all’interno.
La comunicazione nella coppia.
Il Potere di amare.
Gurdjieff è morto.



Salvatore Brizzi intervista



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Salvatore Brizzi
NON DUCOR DUCO
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giovedì 2 dicembre 2010

La dittatura del relativismo


Ieri mattina , durante la messa «Pro eligendo Romano Pontifice», l’omelia pronunciata dal cardinale Joseph Ratzinger era di carattere filosofico oltre che teologico, puntando l’indice contro i «venti di dottrina che abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni». Il decano del Sacro Collegio ha preso netta posizione contro le numerose correnti ideologiche e le «mode del pensiero» che hanno agitato «la piccola barca» di molti cristiani. In particolare, ha condannato senza mezzi termini «la dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura soltanto il proprio io e le sue voglie».
...

tratto dal Corriere della Sera, 19.04.2005

Proviamo a capire cosa è esattamente questa »dittatura del relativismo« contro cui si scaglia - a ragione - il nostro pontefice.

Capita sovente a chi si occupa di materie spirituali di dover affrontare discorsi sul cammino evolutivo dell’anima o sulla vita nell’aldilà anche in ambienti dove tali concetti non sono ancora così scontati e quindi le persone non hanno idea della differenza che passa tra una teoria filosofica e un’acquisizione pratica.

Può succedere allora che una mattina in ufficio, fra colleghi più o meno intimi, seduti a chiacchierare durante la pausa caffè, la conversazione, nonostante gli sforzi congiunti di tutti i presenti, riesca a svincolarsi dalla totale assenza di contenuto e si soffermi inopportunamente per qualche minuto sull’argomento anima. A questo punto accade sempre che qualcuno dei presenti, ansioso di voler mostrare al mondo l’inesorabile piattezza del suo insipido pensiero, affermi con ostentata accondiscendenza: “La tua teoria sull’evoluzione dell’anima è davvero interessante e ben congegnata, ma ricordiamoci che ogni religione ha la sua e che ci sono state tante scuole, sia filosofiche sia misteriche, che hanno prodotto teorie sull’anima di altrettanto valore, ma nessuna alla fine ha mai scoperto la verità.”

Se poi il mammifero in questione già da diversi mesi non riesce a scovare partner riproduttivi con cui praticare un sano scambio di fluidi, e si trova pertanto in una situazione ormonale piuttosto disagevole, non si lascerà certo scappare l’occasione di aggiungere – accompagnando il tutto con un’espressione di saggia rassegnazione: “Anche perché... si sa... nessuno possiede delle verità certe... e bisogna sempre diffidare di chi afferma di conoscere delle verità”.
Wow... un pensiero da Maurizio Costanzo Show... che forse poteva anche essere ritenuto originale nel primo Cretaceo.
Signori... eccovi servito il relativismo!

E di »dittatura« senz’altro si tratta, in quanto per chiunque sostenga di aver sperimentato dentro di sé una verità... è già pronta la gogna; se poi qualcuno dovesse addirittura abbandonarsi alla tentazione di dichiarare: “Io sono la Via, la Verità, la Vita”... allora chiodi e tavole di legno serviranno a eliminare questa scomoda anomalìa dal pianeta!

Il cardio-apatico cittadino medio non ammetterà mai di essere incapace di giungere a una verità che non solo esiste, ma è pure a disposizione di chiunque si dia la pena di cercarla. Incredibilmente, risulta per lui molto meno imbarazzante affermare che NESSUNO sul pianeta è in grado di realizzare un traguardo che in realtà LUI non è in grado di realizzare; e ciò gli fornisce il giusto torpore intellettuale indispensabile a intrattenere corretti rapporti sociali.

Se si parte dal presupposto che nessuno può avere accesso a verità certe circa il mondo dello spirito, quando qualcuno sostiene che l’uomo è un’anima immortale e qualcun altro ribatte che l’uomo è solo una scimmia con la testa grossa, a entrambe le affermazioni può essere riconosciuta pari dignità!
Democratizzare la verità – ciò che Gesù pensa circa il significato della vita ha lo stesso valore di ciò che ne pensa Bruno Vespa – significa in definitiva assenza di verità e, soprattutto, assenza di punti di riferimento certi.
La conseguenza è che vince sempre il punto di vista della maggioranza, anche quando questa ha fottutamente torto e manifesta una cecità patologica.

Fatte queste considerazioni, è necessario ora distinguere fra »verità dogmatiche« e »verità realizzative«. La funzione sicuramente positiva che il relativismo ha svolto in passato è stata quella di liberare l’uomo dall’assoggettamento alle verità dogmatiche (ipse dixit) e indurlo a pensare con la propria testa circa i fenomeni dell’Esistenza.

Ma il successivo passo nel cammino di apertura delle coscienza – quello che dovremmo compiere adesso – concerne il divenire capaci di REALIZZARE INTERIORMENTE delle verità. Il che comporta una sintesi di relativismo (ognuno può accedere alla verità solo dentro di sé) e assolutismo (tale verità resta comunque oggettiva e valida per tutti).

Ad esempio, un tempo si credeva nell’anima con fede cieca (verità dogmatica); poi si sono abolite le certezze assolute in favore del pensiero individuale emancipato, grazie al quale ognuno è divenuto libero di poter pensare che l’anima non esiste senza per questo dover essere cotto alla brace dalla Chiesa (relativismo); adesso è tempo che ognuno smetta di credere o non credere nell’anima, ma la REALIZZI dentro di sé, cessando così di dipendere da filosofie, religioni o esperimenti scientifici (verità realizzativa).
Sono tre fasi storiche dalle quali non si può prescindere, solo che spesso ci si dimentica della terza... la più importante.

Buon lavoro a tutti.


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