giovedì 10 maggio 2012

Precario


“Nessuna banca mi concede un mutuo per comprarmi una casa e mettere su famiglia, perché non ho il posto sicuro... sono precario!”
Questa frase la stiamo sentendo milioni di volte... al telegiornale, al bar, nelle trasmissioni di Maria de Filippi o addirittura già all’interno delle aule universitarie.

Il posto fisso e il mutuo.

Tutte le volte che si parla del futuro dei ragazzi italiani si dice che non ce l’hanno, perché non trovano il posto fisso, quello che permetterà loro di accedere al Sancta Sanctorum: il mutuo per comprare la casa.

Poche sere fa ho assistito alla scena dell’ennesimo giovane che in televisione si lamentava di non poter realizzare i suoi obiettivi a causa dell’attuale crisi. E i suoi obiettivi erano il posto fisso e la casa di proprietà.
Ma il vero problema non è il precariato in sé, né il fatto che nessuno sulla faccia di questo pianeta si possa permettere di acquistare un’abitazione in contanti. Che un giovane abbia come sogni il posto fisso e la casa... ecco dov’è lo scandalo! Che un giovane si senta depresso perché non gli riesce di raggiungere questi due obiettivi... ecco dove s’intravede l’oscenità dei tempi che stiamo attraversando!

È incredibile – e francamente deludente – che questo sia il “sogno” d’una generazione di giovani. Io mi ricordo di generazioni di giovani che erano davvero giovani, ossia capaci di esprimere l’energia dirompente di un 25enne. Una delle caratteristiche che fa della gioventù un’epoca da rimpiangere in tarda età è proprio il fatto che da giovani si può sognare, da giovani è tutto ancora davanti. A quell’età possiedi sogni, visioni, valori per cui combattere. Un giovane degno di questo appellativo è uno “che vuole cambiare il mondo”. Molti fra di voi che state leggendo – chi più chi meno – sono passati da questa fase della loro vita piena di possibilità.

Un giovane degno di questo nome dovrebbe sentirsi contento di essere “precario”, perché se leggiamo a un livello più elevato questo termine scopriamo che il precariato implica l’assenza di sicurezze e legami. L’assenza di zavorre morali e preoccupazioni finanziarie. L’angoscia di dover avere un solo partner per volta (“perché sennò sei una troia, oppure un puttaniere”) e l’afflizione del dover far quadrare l’economia domestica per non far mancare niente ai tuoi cari... insomma... l’asservimento agli schemi di pensiero dei terricoli, di solito sopraggiungono con la cosiddetta “età matura”, espressione che maschera la totale perdita di ogni residuo di spinta creativa. Che tali preoccupazioni giungano a vent’anni è un fatto piuttosto grave, che richiama alla memoria il dopoguerra, quando i giovani in effetti non esistevano perché non potevano permetterselo.

Il processo di asservimento delle masse – di cui tratto anche nel mio prossimo libro La rinascita italica – sta ottenendo un successo che non si aspettavano nemmeno i suoi ideatori e sostenitori. È difficile trovare un ragazzo che pensi a se stesso in maniera diversa rispetto ai genitori. Se per il nonno e per il papà era importante il posto fisso, per uno strano fenomeno di ricalco mentale diventa importante anche per lui.

Quando si è giovani è obbligatorio sognare l’impossibile, voler cambiare le regole del gioco, invece oggi troppi giovani vogliono solo vincere – o almeno trovare un angolino sicuro – all’interno di un gioco che danno per scontato non possa essere alterato in alcun modo. L’orizzonte del posto fisso è spaventosamente limitato. Piuttosto vado a dormire in un dormitorio e a mangiare alla mensa dei poveri... perché tanto è uguale, sono già stato sconfitto, e allora a che serve che impieghi le mie energie, otto/nove/dieci ore al giorno per vivere ai limiti della sopravvivenza, dentro un ufficio, senza più sogni, aspettando che un cancro metta fine alle mie pene.

Il processo di asservimento delle masse macina terreno a una velocità impressionante, passa da una vittoria a quella successiva. Dopo l’annullamento dell’identità nazionale e la creazione di un’Europa di “province” asservite alla BCE, adesso siamo passati all’estinzione dell’identità personale. Un uomo è ciò sogna, per cui un giovane spento e inchiodato ai problemi del posto fisso e del mutuo è un essere senza identità. È un guscio vuoto che attende d'essere ricevuto nella sala d’aspetto di una banca.

Ma cosa vuol dire precario?
Dante era precario, Baudelaire era precario, anche Salvador Dalì e Nietzsche erano precari. Ogni artista, cantante, filosofo, scrittore è precario. Così come ogni lavoratore autonomo e ogni negoziante. Chiunque si affidi alle proprie capacità creative e imprenditoriali per guadagnarsi da vivere è per definizione “precario”... ma è anche contento di esserlo. La mia vita, per esempio, è precariato puro, vivo nell’incertezza: oggi i miei libri vendono... domani non si sa; oggi gli affari vanno bene... domani non si sa. Il fatto che un ventenne appena uscito dall’università, con un futuro davanti, si pensi come “precario” e si senta afflitto per questo... è un’aberrazione mentale, che non rappresenta lo stato oggettivo delle cose.

Sentire un giovane che parla di pensioni mi stringe il Cuore.
Vedere un giovane che protesta in piazza affinché il suo posto di lavoro sia più sicuro... perché ha paura di essere licenziato... mi fa talvolta credere che non ci siano più speranze. La mediocrità ha vinto, il mindfucking ha sortito il suo effetto distruggendo gli ultimi residui di gioventù che si trovavano dentro i giovani... i quali protestando in piazza contro l’incertezza, non si avvedono di stare lottando contro la loro stessa possibilità di sognare un mondo nuovo. Quando pensano al futuro ormai riescono solo a immaginare lo stesso mondo che c’è oggi... ma più tecnologico. Una fotocopia... di una fotocopia... di una fotocopia... (come si dice in Fight Club)

Servono monaci-guerrieri, ribelli, eretici... che si mettono in proprio e si costruiscono un futuro nonostante gli adulti, la società, i politici e le banche. Servono guerrieri, non mendicanti che protestano per l’articolo 18 e cercano di assicurasi la pensione. Servono avventurieri capaci di vivere senza una mappa, che non hanno bisogno di programmare i prossimi vent’anni della loro vita.

L’unico modo per avere successo è essere speciali, non continuare a nascondersi nelle pieghe del sistema vivendo delle briciole che l’oligarchia al potere ci concede. Sta avvenendo una selezione naturale alla quale sopravviveranno solo i creativi e gli imprenditori di se stessi. Gli altri sono già condannati perché sono già morti, si sono già suicidati... tutti i giorni... in ufficio. L’assenza di creatività e responsabilità tipica di chi è condannato nei gironi impiegatizi è un fenomeno innaturale e presto scomparirà.

Chi ha stipulato un patto con il Diavolo – “segui le direttive e non dovrai mai pensare” “rinuncia alla creatività e alla libertà in cambio della sicurezza” – ne pagherà le conseguenze nei prossimi mesi. Il Diavolo sta venendo a riscuotere ciò che gli spetta.

Salvatore Brizzi
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(non vengo condotto, conduco)


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