venerdì 27 luglio 2012

La ricerca della felicità


La ricerca della Felicità può essere condotta in due modi:
-- attraverso la quantità, ossia nello spaziotempo;         
-- attraverso la qualità, ossia nell’eternità.

Il nostro mondo è organizzato sulla ricerca d’una finta felicità, fondata sui canoni classici dell’essere felice: il calciatore, la velina, il denaro, la bellezza fisica, la salute, l’intelligenza intesa come nozionismo...

La ricerca di questo tipo di felicità è un miraggio, è irraggiungibile per definizione. Vi spiego perché: se il mio essere felice dipende da uno status sociale, da qualcosa che ho o da qualcuno che mi ama, nel momento in cui li perdo smetto di essere felice. La mia vita diviene allora una ricerca continua di gratificazioni esteriori, la ricerca di situazioni che non mi facciano mai percepire il mio vuoto interiore. Ma dal momento che tutti noi siamo “condannati” a una felicità eterna e inamovibile, la nostra evoluzione passa proprio attraverso l’accettazione e il superamento di quel vuoto interiore.

Succede allora che ogni felicità legata alle gratificazioni della personalità non è che sia sbagliata, ma semplicemente è destinata a scomparire. Quando ci accorgeremo che ogni genere di gratificazione acquisita nel mondo della quantità non può che essere effimera, ossia soggetta al tempo e allo spazio, allora ci rivolgeremo a un differente genere di felicità, aspaziale e atemporale. È dunque indispensabile che rimaniamo continuamente delusi dal finto appagamento, quello che serve solo a non fare emergere temporaneamente il vuoto.

Cos’è un handicap? Per esempio, essere non-vedente è considerato dalla nostra società un handicap. Questo accade perché la cecità nell’attuale società viene relegata tra i fenomeni contrari alla felicità. Un handicappato, secondo le nostre idee bacate, è uno sfigato, perché evidentemente non può giocare a calcio e non può fare la velina!
Un cieco e un ragazzo sulla sedia a rotelle non sono più competitivi all’interno del sistema!
Nella maggioranza dei casi loro stessi hanno questa visione di sé, per cui si sentono infelici in quanto non sono più competitivi secondo i canoni della società dei consumi... e magari fanno di tutto per tornare a essere competitivi, cioè per tornare a essere come gli altri... che in realtà sono i veri sfigati.

Di norma proviamo pietà per chi è disabile, in quanto lo consideriamo come qualcuno che dovrà vivere una vita di serie B. L’handicappato potrà solo rassegnarsi a vivere una vita da sfigato e non potrà più trovare la vera felicità, quella data dall’apparenza!
A nessuno viene in mente che una persona con una disabilità potrebbe essere forzata a guardarsi dentro più di chiunque altro... fino a scoprire dove si colloca l’autentica felicità, la vera “abilità interiore”, quella non più condizionata dalle circostanze dello spazio e del tempo. Potrebbe allora paradossalmente riconoscere di essere “abile a vivere” più degli altri – nel QuieOra – e scoprire la totale disabilità interiore di coloro che invece si considerano abili e si permettono di provare pietà per lui.

Le nostre condizioni di vita sono le migliori che possiamo desiderare, ma vanno viste in un altro contesto, in un paradigma evolutivo, non più all’interno della dicotomia sfigato/fortunato. Essere non-vedenti, per esempio, oltre a una riflessione più profonda riguardo il significato della tua vita, ti porta ad acuire una diversa sensibilità, un concetto totalmente differente del “vedere” che ti porterai dietro per il resto della tua esistenza animica.

Una vita da cieco all’interno dell’esistenza dell’anima (che dura milioni di anni), è come passare per gioco un giorno con gli occhi bendati all’interno della vita terrena!
Ti costa fatica, ma sai che dura poco e sai che finirà.

Cosa ci portiamo dietro quando perdiamo il corpo fisico? L’amore, la tenerezza e la compassione non ce le portiamo dietro come oggetti dentro una valigia. Bensì arriveremo nell’aldilà RIVESTITI di queste emozioni superiori. La tenerezza con cui abbiamo vissuto sarà divenuta il nostro corpo e i nostri sensi sottili. Se abbiamo perdonato sulla Terra, nel nostro aldilà il Perdono sprizzerà da tutti i paesaggi e da tutte le persone che ci circonderanno, ma se non avremo perdonato, anche se saremo in paradiso, i fiori non profumeranno di Perdono e le persone non emaneranno Perdono.

Il paradiso e l’inferno sono solo rappresentazioni di ciò che siamo stati sulla Terra, delle qualità che abbiamo acquisito con l’esperienza e con gli errori e di quelle che abbiamo rifiutato di sviluppare con la nostra ostinazione. La vita ci consegna a ogni frazione di secondo le lezioni che più ci servono. Se viviamo una vita dove nessuno si occupa di noi, oppure una vita dove qualcuno si deve occupare di noi 24ore su 24, perché magari ci troviamo dentro un polmone d’acciaio, possiamo stare certi che nelle vite future saremo i primi a correre in aiuto di chi ha bisogno. Abbiamo sviluppato una sensibilità che altri non avranno mai.
Invece una vita del genere di norma la vediamo come una vita da sfigati!!!

Restare, ad esempio, paralizzati in un letto e poter muovere solo gli occhi...
Pensate a quante cose non si danno più per scontate...
Pensate a quante cose non si possono più dire...
Prima parlavamo in continuazione per dire solo cavolate, mentre adesso possiamo solo sperare che qualcuno ci faccia la domanda giusta, perché noi possiamo rispondere solo con un sì o con un no.
Vi immaginate quali capacità si possono sviluppare in queste condizioni? Sono davvero sfigate queste persone? Un mese... un anno... dieci anni... in un letto d’ospedale e il senso della vita diventa chiarissimo!
Una passeggiata nel giardino dell’ospedale diventa una passeggiata nel Paradiso Terrestre!
Fino a quando avremo bisogno di scendere nelle Tenebre della vita per vederne la Luce?


Salvatore Brizzi
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(non vengo condotto, conduco)


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