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giovedì 26 aprile 2012

Credenza, ragione, intuizione


Esistono tre diverse modalità di rapportarsi alla conoscenza, che corrispondono a tre diversi livelli di coscienza presenti nell’umanità.
La prima modalità è quella della CREDENZA, anche conosciuta come “fede cieca”. Secondo questa modalità la conoscenza è qualcosa di acquisibile dall’esterno sul piano mentale, per mezzo della trasmissione da parte di qualcuno che possiede già tale conoscenza. Ipse dixit è la formula che chiarifica ciò di cui stiamo parlando: un’autorità indiscussa – religiosa o accademica che sia – decide ciò che deve essere creduto e ciò che deve essere ignorato dalla massa. In questa fase evolutiva l’uomo del popolo si trova a un livello di coscienza tale per cui non è ancora in grado di farsi un’opinione propria sulle cose e demanda quindi all’esterno di sé la responsabilità del conoscere: “Ditemi voi – prelati o scienziati – in cosa devo credere, cosa esiste e cosa no, cosa fa bene alla mia salute e cosa la danneggia.”

La seconda modalità è quella della RAGIONE. Anche in questo caso la conoscenza risulta essere qualcosa di acquisibile sul piano mentale, ma invece che provenire dall’esterno è l’individuo stesso che indaga la realtà in maniera razionale fino a farsi un’idea propria. È il livello di coscienza dello scienziato, del filosofo, dell’indagatore in genere, colui che non si accontenta di quanto gli trasmettono scuola e religioni, ma si sforza di comprendere il mondo impegnandosi in un’analisi personale.
È la fase degli esperimenti scientifici e delle prove. Per giudicare se un’ipotesi è giusta oppure no, si compie un certo numero di esperimenti e a seconda del risultato ottenuto l’ipotesi viene verificata o meno. In un tribunale, per giudicare se una persona è colpevole di un determinato reato si raccolgono le prove e le testimonianze e in base a esse la persona viene giudicata colpevole o innocente. Questa è la fase della ragione.

Attualmente solo una piccola parte dell’umanità è già entrata in questa importante fase di evoluzione della coscienza, per quanto riguarda la maggioranza delle persone esse non si danno la pena di investigare la realtà, di comprendere personalmente come stanno le cose, ma preferiscono aderire alla conoscenza preconfezionata proveniente dai dogmi religiosi o dalla scienza ufficiale, in altre parole, la conoscenza che viene ufficializzata nelle aule scolastiche e dal tg delle ore 20:00. Se una scoperta scientifica o un fatto di cronaca vengono confermati dal tg sono reali, altrimenti sono solo ipotesi.
“Se i vaccini facessero male lo direbbero al tg.”
“Se le scie chimiche fossero un problema lo direbbero al tg.”
“Se questa storia degli extraterrestri fosse vera lo sapremmo dal tg.”

Questa modalità è ancora ascrivibile alla fase della CREDENZA e non a quella dell’analisi razionale, la quale richiede più impegno, più tempo a disposizione e più responsabilità – ad esempio, leggere molto e cercare fonti d’informazione alternative – in altre parole, richiede di comportarsi da indagatori attivi anziché ricettori passivi della verità. Che l’ipse dixit provenga da un sacerdote, da un testo scolastico o dal tg, per lo sviluppo della coscienza del singolo non c’è alcuna differenza, perché in ogni caso non c’è stata indagine ma solo accettazione passiva, ossia credenza.

Se siamo immersi nella credenza e guardiamo la tv, non possiamo guardarla in maniera critica, perché questa è una capacità che si acquisisce con l’uso della ragione; allora quella che è solo una rappresentazione del mondo diventa il mondo stesso.

Un numero ancora più esiguo di esseri umani è già in grado di accedere alla successiva modalità conoscitiva: l’INTUIZIONE. A dire il vero, la maggior parte di coloro che si trovano nelle due fasi precedenti nemmeno sa dell’esistenza di questa terza opzione e crede che il culmine delle possibilità conoscitive umane risieda nella razionalità.
Intuire significa comprendere immediatamente (=senza la mediazione della mente) se qualcosa è vero oppure no. L’intuizione è un istante di illuminazione al di fuori dello spazio-tempo, un istante di collegamento con la parte più profonda di noi che ci consente di accedere a una verità oggettiva. L’intuizione non è un fatto mentale, bensì animico, nel quale non si ha più bisogno di un supporto esterno (l’esperimento piuttosto che la prova o la testimonianza) che avvalori una data affermazione.

Stiamo parlando della gnosis cardias, la “conoscenza del Cuore” di cui già gli gnostici trattavano. Il vero gnostico non è un credente, il vero gnostico sa, anche se poi gli risulta difficile comunicare la sua comprensione diretta a chi è ancora identificato con la razionalità, perché il suo atteggiamento viene regolarmente scambiato per “credenza cieca” oppure “opinione personale”.
La conoscenza intuitiva – la sacra sophia – deriva dalla capacità, acquisita con la pratica, di guardare al nocciolo delle cose con “l’occhio illuminato”. Lo gnostico non crede in Dio, lo conosce.

Facciamo un esempio pratico: siamo nel medioevo e dobbiamo giudicare se un alto prelato si è macchiato del reato di omicidio. La Chiesa, che opera secondo la credenza, afferma che per il fatto stesso che il prelato riveste quella carica, lo Spirito Santo che è in lui non può avergli permesso di peccare, e a nulla valgono i testimoni che lo hanno visto commettere il fatto. La Chiesa è l’autorità indiscussa e quindi il sacerdote viene assolto.

Veniamo ai giorni nostri, dove si opera secondo la ragione e quindi vengono ascoltate le testimonianze, si raccolgono le prove e si pronuncia il giudizio: il prelato è colpevole e viene arrestato.

Come si opera invece nel mondo dell’intuizione? Il giudice guarda il sacerdote e sa – cioè sente con i suoi "sensi animici", grazie alla gnosis cardias – che è innocente e che qualcuno sta tentando di incastrarlo a causa di una sua attività che va a intralciare gli affari della mafia locale. Il giudice sente questo anche se tutte le prove sono a sfavore del prete! Siamo nella situazione in cui il giudice possiede una coscienza che lavora già sul piano intuitivo e pertanto avverte in maniera oggettiva quale è la verità circa la situazione, ma essendo circondato da persone la cui conoscenza è basata sulla razionalità... non può comunicarlo loro. Per convincere anche la giuria dovrebbe eventualmente trovare nuove prove che scagionino il sacerdote.

Dal 1973 negli Usa sono stati rilasciati 128 prigionieri dopo che erano stati condannati a morte. Questo significa che le prove e le confessioni dei testimoni avevano già portato a una condanna capitale! Fortunatamente sono in seguito emerse nuove prove che hanno invece stabilito la loro innocenza, talvolta poco prima dell’esecuzione. Già... in questi casi è andata così... ma per quanti altri invece si è arrivati all’esecuzione senza che nessuno si accorgesse della loro innocenza? Non lo sapremo mai.
Queste sono le incredibili conseguenze del tentare di stabilire la verità sul piano razionale e “per alzata di mano” anziché per intuizione diretta del Vero.

Salvatore Brizzi
NON DUCOR DUCO
(non vengo condotto, conduco)


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giovedì 19 aprile 2012

Pinocchio

La trasmutazione alchemica di un burattino che diventa individuo.

Il ladro che s'intrufola tra la folla cercando qualcuno da poter derubare, è quasi un chiaroveggente. Come se avesse delle antenne, egli sente quali sono le persone vigili, sveglie, e quali invece sono mezzo addormentate. L'indizio per lui è la luce, perché dall'uomo vigile emana una sorta di chiarore, e non sarà quindi con lui che se la prenderà. Egli va in cerca di chi sonnecchia a occhi aperti, e s'impadronisce del suo portafoglio o della sua borsa, senza che l'altro se ne accorga, essendo infatti immerso in una sorta di oscurità. Allo stesso modo, le entità malefiche del mondo invisibile, non se la prendono con colui nel quale sentono la luce, perché sanno che saranno immediatamente individuate e respinte. Perciò, attenzione: se volete essere al riparo da tutte le specie di ladri, mantenete sempre in voi una luce accesa.
Omraam Mikhael Aivanhov

Quella che intraprende Pinocchio è in verità una via alchemica che porta al risveglio. Come afferma anche lo splendido Aivanhov nel precedente passo: i ladri vanno in cerca di chi sonnecchia a occhi aperti. Le persone non si danno pena di risvegliarsi perché non si rendono conto dei pericoli, provenienti ora dal piano materiale ora da quelli più sottili, con cui quotidianamente convivono. È bene che l’uomo addormentato resti cieco, perché se “vedesse” si accorgerebbe delle entità e delle situazioni che lo circondano e ne resterebbe sconvolto. Immaginate di svegliare un sonnambulo mentre sta camminando sul cornicione di un palazzo!

A Firenze e Rimini propongo un seminario nel corso del quale scopriremo che la storia del burattino Pinocchio altro non è che la storia di un essere umano “meccanico” che attraverso numerose peripezie (le cosiddette iniziazioni) diviene infine un essere consapevole e risvegliato. È il cammino interiore d’un burattino che – divenuto uomo – al termine della favola “ritrova il Padre”.

Pinocchio è un nome composto dai due termini “pino” e “occhio”. Il frutto del pino, la pigna, nell’esoterismo ha sempre indicato la ghiandola pineale (la quale si chiama così proprio perché ha la forma di una pigna, dal lat. pinea), una ghiandola che corrisponde al »terzo occhio« nella fisiologia esoterica. Pinocchio rappresenta quindi il processo di apertura del terzo occhio, la capacità di vedere oltre la forma.

È scritto nel Vangelo:
La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!
(Mt 6,22-23)

Il Padre, Geppetto, ne è il Creatore, infatti non è un vero padre nel senso comune del termine, ma Colui che lo trae dalla materia e gli dà forma. Lo scolpisce nel legno, lo crea burattino, cioè un essere “meccanico”, “addormentato”, come direbbe Gurdjieff, in grado di parlare e camminare, ma non dotato di coscienza, quindi non ancora umano.

Appena creato, Pinocchio diviene subito ingestibile, in quanto non ha ancora ritrovato né la sua anima (la Fata Turchina) né tantomeno il Padre, dal quale dovrà prima separarsi per conoscere le insidie del mondo, proprio come accade al figliol prodigo nell’omonima parabola evangelica. Lungo il suo cammino iniziatico imparerà a conoscersi, a gestire il corpo, le emozioni e la mente, sorvegliato a distanza dalla sua anima, la quale – nonostante le menzogne del burattino – lo aiuterà nei momenti più bui e lo rimetterà sulla “retta via”.

Notare che il libro ebbe grande successo popolare, ma l’allora imperante perbenismo (1883, anno della pubblicazione) della critica letteraria ne sconsigliò la lettura ai ragazzi “di buona famiglia” per i quali, taluno soggiunse, “poteva trattarsi di una perniciosa potenziale fonte d'ispirazione”.

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Salvatore Brizzi
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