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venerdì 2 novembre 2012

Strutturare un Ego - parte 2


...prosegue dal post precedente.

Nella mia vita ho conosciuto giusto tre o quattro individui in possesso di un Ego integrato, i quali hanno ottenuto questo traguardo dopo anni di lavoro sull’autosservazione, la Presenza, la disidentificazione, il non-giudizio, ecc. Sono persone equilibrate, con un Centro interiore ben sviluppato, che non provano più emozioni negative e capaci di amare il prossimo. E solo da queste persone posso accettare un discorso che riguarda la necessità di andare a sciogliere alchemicamente l’Ego, rivelandone un giorno l’illusorietà. In quanto loro un Ego ce l’hanno davvero. Sono cioè capaci di vera Volontà e di libero arbitrio.

Tutti gli altri semplicemente non hanno un Ego, – anche se, ovviamente, credono di averlo – non hanno un Centro, ossia iniziaticamente non hanno ancora sviluppato un »padrone di casa«, ma invece di ammetterlo e iniziare a lavorare onestamente per ottenerlo, si riempiono la bocca di discorsi che hanno letto sui libri di neo-advaita, dove si racconta che l’illuminazione può accadere a chiunque e in qualunque momento... anche mentre si sta facendo la cacca.

Attraverso queste nuove filosofie new-age, che fanno un sincretismo di concetti raccolti a destra e a manca, si portano le persone a credere di possedere sul piano psicologico qualcosa che invece non hanno e addirittura li si invita a distruggerlo per ottenere una fantomatica illuminazione. Ma non si può distruggere, o anche solo “superare”, qualcosa che non si ha, e attualmente le persone sono solo un’accozzaglia di pensieri ed emozioni senza un Centro psicologico coordinatore.

“Il tuo Ego non esiste, per cui non puoi distruggerlo, devi solo realizzare che c’è stato sempre solo l’Uno.” Affermano i seguaci del neo-advaita. Siamo tutti d’accordo sul fatto che questo Ego non esista (lo diceva anche Gurdjieff), ma mentre in un Percorso Iniziatico regolare ti viene insegnato come costruirlo, in questa filosofia che va per la maggiore oggi non ti si permette di costruirlo, anzi, questa viene considerata un’eresia che rischia di allontanarti per sempre dall’Uno (ma non era già tutto Uno?).

Ma allora che genere di realizzazione hanno ottenuto questi personaggi neo-advaita che raccontano di essersi illuminati mentre facevano la cacca? Essi riportano tutti concetti simili: non esiste l’Ego, non esiste l’anima, non c’è nulla dopo la morte, esiste solo l’Uno e una volta che ci si fonde con l’Uno, si scompare. E tutto questo per loro è effettivamente vero. Per il semplice motivo che loro sono fulminati e non illuminati. E qui veniamo al punto. Mi spiego meglio: loro hanno ottenuto quel genere di illuminazione che consiste nel regredire allo stadio di Uno primevo senza aver completato la formazione psicologica dell’Ego, del vero individuo. La conseguenza di tale evento è che loro non “cavalcano la tigre”, non entrano nell’Uno in piena consapevolezza, ma vi si perdono dentro annullandosi in esso.

In un autentico Percorso Iniziatico magico/alchemico il discepolo deve costruire un Ego perché questo gli consentirà un giorno di identificarsi con l’Uno, non di perdersi in esso. E qui sta l’abissale differenza fra l’essere un fulminato o un illuminato. Dal momento che, come si afferma giustamente anche nell’Advaita, l’essere umano non ha un Ego di partenza, ma crede solo di averlo, il Percorso prevede la sua costruzione, al fine di diventare “consapevole di sé”. Una volta divenuto un essere consapevole, un vero Io, allora l’individuo compie il grande “sacrificio di sé” (ma adesso ha qualcosa da sacrificare) e abbandona questo Io individuale per entrare nella Consapevolezza assoluta dell’Uno. Il risultato finale del percorso magico è sempre stato e sarà sempre il Mago, ossia l’Io Assoluto, l’Uomo/Dio. La goccia non si perde nell’oceano, bensì diviene consapevole di essere l’oceano stesso. Una differenza piuttosto importante... quando la goccia sei tu.

In un Percorso regolare, che prevede sforzi e prove, nulla va perso di ciò che l’uomo ha compiuto incarnazione dopo incarnazione, infatti si parla d’immortalità e di tappe iniziatiche. Nella filosofia Advaita – che era adatta all’essere umano più antico, il quale non era ancora in grado di divenire consapevole di sé – tutto va perso, nel senso che l’individuo fa marcia indietro, scompare per sempre, non si reincarna e perde la coscienza di sé, la coscienza di essere mai vissuto come entità separata dal Tutto.

Spero di aver portato chiarezza su un punto quantomai importante e tuttavia trascurato più o meno da tutti.

Salvatore Brizzi
NON DUCOR DUCO
(non vengo condotto, conduco)


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