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lunedì 27 aprile 2020

Il patto


Ho sempre dimostrato un’età inferiore rispetto a quella anagrafica. La qual cosa non mi ha sempre arrecato dei vantaggi: a 15 anni le mie compagne di classe al liceo mi trattavano come il fratellino minore che le divertiva con le sue battute di spirito, ma rivolgevano la loro ingordigia adolescenziale verso quelli che si mostravano già più maturi e “svegli” sotto più d’un aspetto, per esempio quelli che venivano a scuola con la moto, che non usavano l’ombrello quando pioveva e non vestivano sempre la camicia con sopra il maglione coi rombi come facevo io; quelli che alle feste si appartavano in qualche stanza con una loro coetanea vestita di short aderenti e una maglietta che a ogni respiro si alzava e si abbassava a ritmo regolare... un fenomeno capace di provocare episodi di licantropismo anche in un bambino dai dieci anni in su!

Iniziando a lavorare, prima come distributore di volantini pubblicitari nella mia città e poi in un magazzino che trattava e distribuiva all’ingrosso i “freschi”, ossia formaggi morbidi, mozzarelle, tomini... fino alle forme di grana e di parmigiano intere, mi resi conto che dopo tre anni di lavoro ero ancora trattato come “quello giovane”, cioè come se fossi sempre uno appena arrivato. Ero molto magro, ma nonostante questo mi difendevo bene quanto allo svolgimento dei compiti anche pesanti che ci venivano assegnati. Ma chi mostrava più maturità fisica e organizzativa veniva considerato come un lavoratore più in gamba, anche se nei fatti ciò poteva non essere vero.

Il fatto che nella pausa caffè a volte mi mostrassi di fronte ai colleghi piuttosto teso o amareggiato per non aver ancora sviscerato l’esistenzialismo presente in Essere e Tempo di Heidegger, mi faceva perdere punti ai loro occhi in quanto maschio alfa capace di trasportare delle forme di parmigiano (40kg ca) senza farsele cadere sul piede. Se non ne trasportavi almeno 4 o 5 nel corso d’un turno lavorativo non avevi diritto ad accoppiarti con le femmine della tua stessa specie e quindi eri destinato a morire senza riprodurti. Questo atteggiamento discriminatorio veniva considerato indispensabile al fine di non mettere a repentaglio la robustezza fisica della prole.

Durante i miei impieghi nel mondo dell’informatica (progettazione di siti web) la situazione non migliorò. All’inizio nessuno mi dava mai credito e dovevo faticare anni, producendo risultati evidentemente utili per l’azienda, per acquisire il diritto di rivolgere la parola ai più anziani e, soprattutto, agli elementi dell’altro sesso.

Iniziai con il lavoro che svolgo tuttora – scrivere libri, gestire la Antipodi Edizioni e tenere seminari – fra i 34 e i 35 anni. Il punto è che dimostravo circa 25 anni... e senza pizzetto ancora meno, tanto che a un famoso convegno di Bologna gli organizzatori nel vedermi arrivare mi chiesero se ero il figlio dell’autore di OfficinaAlkemica, il mio primo libro, e quando ci avrebbe raggiunti mio padre!

In quello stesso convegno, un prete che aveva parlato prima di me, quando io entrai in scena e cominciai a trattare di corpi sottili e di vita dopo la morte, alzò la voce per chiedere che mi fosse tolto il microfono, perché credeva fossi uno dei ragazzi dello staff che stava intervenendo arbitrariamente per dire un suo parere e togliendo così spazio al relatore successivo... un alchimista... che in realtà ero io e stavo già parlando!

Per una persona molto giovane che vuole trattare e svecchiare certi argomenti come Alchimia, Magia e tutta la sfera della Teosofia (Alice Bailey, Annie Besant, Leadbeater, Agni Yoga) all’inizio non è certo stato facile, in quanto dovevo dimostrare di essere in grado di parlare di ciò che i 65enni impegnati da anni a leggere non erano ancora riusciti ad applicare nelle loro vite.

La tendenza a sembrare più giovane è rimasta... anzi... si è accentuata grazie al lavoro alchemico portato avanti negli anni. Stamattina in coda davanti al Carrefour parlavo con un signore corpulento e ci scambiavamo pareri sulle rispettive professioni (lui è un avvocato in pensione) e io gli ho accennato al fatto di essere un editore indipendente che si avvale di un piccolo staff di collaboratori, oramai da 15 anni.
«Da 15 anni? Ma mi sembra molto giovane. Quanti anni ha lei?» mi chiede.
«Quest’anno ne compio 50».
«Davvero? – dice con un’espressione stupita – allora ha fatto un patto col diavolo!» e giù una grassa risata, soddisfatto per aver detto qualcosa di originale.
Io attendo un attimo che il suo corpo abbia smesso di scuotersi come quello di un ballerino di rumba e poi rispondo: «No. Ho fatto un patto col Cristo».

La risata si smorza e si trasforma nell’espressione di uno a cui la moglie ha appena detto che partorirà otto gemelli.
«In che senso, scusi?» chiede timoroso.
«Nel senso che ho fatto la stessa cosa, ma con il Cristo anziché con il diavolo. Gli ho detto che mi sarei messo al suo completo servizio, che alla mia morte lui poteva prendere con sé la mia anima... e in cambio non mi avrebbe mai fatto mancare nulla di ciò che è essenziale per la mia vita. Mi pareva conveniente, quindi ho firmato».
«Non ci avevo mai pensato a questa possibilità» dice lui sorridendo.
«Beh... ognuno prova a contattare chi sa che gli può rispondere».

Trovo quantomeno bizzarro il fatto che venga considerata quasi normale l’espressione “fare un patto col diavolo”, mentre è del tutto inusitata l’espressione “fare un patto col Cristo”. Eppure, credo sia decisamente più conveniente stipulare un contratto col secondo piuttosto che col primo. Pur di ottenere benessere materiale si stipula - talvolta inconsapevolmente - un patto col diavolo, quando invece basterebbe mettersi al servizio del Cristo per ottenere tutto il resto in aggiunta. 
Uomo avvisato... tutto salvato.

Salvatore Brizzi
[Il mondo è bello, siamo noi ad esser ciechi]



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