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mercoledì 21 ottobre 2015

Cappuccetto Rosso favola esoterica


La goccia non si perde nell'oceano, bensì diviene consapevole di essere l'oceano stesso. Una differenza piuttosto importante, quando la goccia sei tu.

Si narra nella famosa favola dei fratelli Grimm che un giorno la mamma di Cappuccetto Rosso le diede un pezzo di focaccia e una bottiglia di vino da portare alla nonna che abitava nel bosco: “Va’ da brava, senza uscire di strada, sennò cadi...” è la sua raccomandazione. Cappuccetto Rosso parte ed entra nel bosco, qui incontra un lupo “ma non sapeva fosse una bestia tanto cattiva e non ne ebbe paura”.

Basterebbero già questi elementi per giustificare un’interpretazione esoterica di  questa favola oramai facente parte dell’immaginario collettivo. La bambina rappresenta un’anima che deve intraprendere un percorso evolutivo. Il cappuccetto rosso (che le viene regalato dalla nonna) rappresenta il paramento iniziatico indossato dal discepolo prima di affrontare una prova. La protagonista lascia la casa su indicazione della mamma (lo spirito), per compiere un cammino nel bosco e giungere dalla nonna, ossia la mamma della mamma (lo spirito consapevole): il punto di arrivo si trova a un’ottava superiore rispetto al punto di partenza. Porta con sé il pane e il vino (la carne e il sangue), i due alimenti simbolici per eccellenza.

Nonostante la raccomandazione della mamma di non deviare per non rischiare di cadere, quando Cappuccetto Rosso incontra il lupo non se ne spaventa e comincia a rispondere alle sue domande. Il bosco buio rappresenta il cammino dell’anima nella materia, questo è infatti il luogo dove incontra il lupo famelico, che simboleggia le brame della personalità, la quale si cura unicamente di riempirsi lo stomaco (la sua sopravvivenza). Cappuccetto Rosso non ne ha paura perché non si avvede della pericolosità dell’ascoltare la personalità anziché l’anima, per cui segue il consiglio del lupo e comincia a vagare nel bosco in cerca di fiori. Molto interessante la frase con cui il lupo convince la bimbetta: “Guarda un po’ quanti bei fiori ci sono nel bosco, Cappuccetto Rosso; perché non ti guardi attorno? Te ne stai tutta seria come se andassi a scuola, invece è tutto così allegro nel bosco!”

Il lupo la inganna distraendola dal suo cammino iniziatico. Le dice di guardarsi intorno, la affascina con le bellezze che si trovano nel bosco, a tal punto che la protagonista esce dal sentiero per raccogliere i fiori. Questo episodio rappresenta le anime che restano intrappolate nelle illusioni della materia e si dimenticano che il bosco va solo attraversato velocemente, senza perdere troppo tempo e senza prestare ascolto ai lupi.

Adesso arriviamo a un punto cruciale: mentre Cappuccetto Rosso è distratta dal bosco, il lupo corre dalla nonna e la mangia, quindi si traveste e finge di essere lei. Cosa significa? A causa del lungo tempo trascorso nel bosco la personalità famelica ha avuto il tempo di travestirsi da spirito. Il lupo ha preso le sembianze della realizzazione della consapevolezza finale. Cappuccetto Rosso crederà di aver compiuto il suo cammino iniziatico ed essere finalmente giunta dalla nonna, quando invece si troverà di fronte a un travestimento del lupo.

Questa è la fase più importante della prova del discepolo: deve stare in guardia rispetto alle false realizzazioni. Il suo scopo è “raggiungere la nonna” o “tornare a casa del Padre”, come accade anche nel viaggio iniziatico di Pinocchio, e come nella parabola del figliol prodigo, che si colloca a fondamento di queste fiabe esoteriche. Ma a un certo punto, proprio prima della realizzazione finale, l’iniziando può cadere nell’illusione mentale (un’ossessione che lo porta a credere di aver realizzato l’Uno) o emotiva (stati di beatitudine mistica). Il lupo ha inglobato la nonna dentro di sé e adesso finge di essere lei.

Cappuccetto Rosso si lascia ingannare e viene a sua volta mangiata dal lupo. Dopodichè il lupo si mette a dormire (la personalità addormentata).

A questo punto accade qualcosa di inaspettato, compare una figura nuova: il cacciatore. Apre con un paio di forbici la pancia del lupo e ne tira fuori prima la bambina e poi la nonna. Chi è costui che libera sia l’anima che lo spirito rimasti intrappolati nella macchina biologica, portando così la protagonista a realizzare la sua missione (il sacrificio della carne e del sangue serviti alla nonna/spirito, come in una messa)?

Il cacciatore è un potente shock addizionale provocato dalla ferma Volontà di risvegliarsi. Utilizza due simboli, uno maschile fallico, il fucile, e uno femminile, le forbici. Scrivono i fratelli Grimm: “Stava per puntare lo schioppo quando gli venne in mente che forse il lupo aveva ingoiato la nonna e che poteva ancora salvarla. Così non sparò, ma prese un paio di forbici e aprì la pancia del lupo addormentato.”

Il cacciatore avrebbe potuto uccidere rapidamente il lupo sparandogli con il fucile, ma in questo modo avrebbe condannato anche il contenuto del lupo; allora decide di non ucciderlo ed estrarre invece ciò che la personalità porta in sé: l’anima e lo spirito. In questo modo porta a compimento l’Opera alchemica.
“Che paura ho avuto! Era così buio nella pancia del lupo!” dice la protagonista ormai liberata.

Eccovi servita Cappuccetto Rosso... una favola per bambini!

Salvatore Brizzi
(occupazione: domatore di fiumi)

PS: procuratevi il film Predestination del 2014, perché è un vero koan zen, da non perdere!




Vi ricordo che i due articoli dove meglio spiego nei dettagli la pratica del lavoro su di sé restano:
e



Gli argomenti di questi due post vengono approfonditi nel video:
L’ALCHIMIA INCONTRA LE NEUROSCIENZE
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Un libro da non perdere, leggi la recensione:



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domenica 4 ottobre 2015

All'origine del pensiero


La prima persona singolare – quel dispettoso dell’io – non è né prima, né persona, né tantomeno singolare.
James Hillman, psicologo analista junghiano

Facciamo un esempio tratto dalla vita quotidiana.
Sto passeggiando sul marciapiede d’una qualsiasi via della mia città, quando a un certo punto dalla stiva di un aereo-merci fuoriesce una mucca congelata che precipita sulla mia verticale. Un passante alle mie spalle, che stava con la testa all’insù osservando un signore di mezza età che faceva pipì dal balcone di casa sua, grida a gran voce: “Hey... Attenzione, gentile signore! Una mucca congelata sta per colpirla!”
D’improvviso io alzo la testa, vedo la mucca e con un balzo mi metto istintivamente in salvo.
“Grazie, buon uomo” dico al passante sorridendo e solo adesso mi avvedo che indossa dei pantaloni color cane. A questo punto mi faccio venire un malore completo.

Un esempio più semplice: un bicchiere di cristallo cade da uno scaffale, immediatamente e spontaneamente afferrate l'oggetto senza che ci sia il tempo di formulare un pensiero, un idea o un'intenzione. Solo un attimo dopo che avete fatto un balzo per mettervi in salvo dalla mucca congelata e solo un attimo dopo che avete afferrato al volo il bicchiere... potete pensarci, capire cos'è successo, e allora il vostro battito cardiaco si fa più veloce, i pensieri si affollano nella mente e l’esperienza iniziale si frammenta nel corpo emotivo e in quello mentale.

L’istante in cui balziamo o afferriamo al volo qualcosa è un istante di Vuoto assoluto, in un certo senso è un’esperienza di illuminazione, ma è un’illuminazione passiva in quanto la mia attenzione in quel momento era passiva, ossia il mio corpo ha reagito allo stimolo bypassando la mia coscienza. Quando funzioniamo nella modalità ordinaria la nostra attenzione è passiva e viene mobilitata – risvegliata – da un evento improvviso che coglie sempre impreparata la nostra coscienza, la quale si ritrova di fronte al fatto compiuto e non le resta che gestire nei secondi successivi all’evento la dispersione di energia a livello fisico, emotivo e mentale. Che sia la nostra fidanzata che ci lascia o una mucca congelata che cade dal cielo... non fa poi molta differenza. Ogni evento scioccante, traumatico o anche solo improvviso, provoca un risveglio dell’attenzione, ma noi non ci siamo con la nostra coscienza per sfruttarlo a nostro favore.

L’attenzione dell’uomo ordinario non si trova in realtà in uno stato di vigilanza autonomo e incondizionato; essa viene semplicemente risvegliata da mobilitazioni di energia prodottesi nella nostra macchina biologica, e il suo risveglio è condizionato da tali mobilitazioni. Non appena passa il momento-senza-durata in cui tutto si è fermato e il corpo ha agito da solo, quell’energia risvegliante resta intrappolata nel mondo formale delle emozioni e dei concetti: “Che spavento! C’è mancato poco. Ma cosa è successo? Oddio che batticuore.” L'occasione di contattare il Qui-e-Ora che si era prodotto per un istante... ormai è perduta.

Dopo che i pensieri sono emersi, non serve a niente cercare di liberarsene, non si possono sopprimere pensieri ed emozioni (se non pagandone un caro prezzo in futuro), se ne può sopprimere soltanto la paternità. Come disse il monaco Huineng (638-713): “Sopprimere il lavoro della mente... è malattia, non è Zen.” Se pensieri ed emozioni appaiono, significa che è già troppo tardi per liberarsene, anche se molti di noi ci provano.

L'attenzione non dovrebbe risvegliarsi solo quando la macchina biologica viene mobilitata, bensì prima, e questo si verifica nel momento in cui, invece di osservare i processi ideativo-emotivi che si stanno producendo come effetto collaterale d’un evento, io afferro quei processi quando sono ancora sul punto di prodursi. Il che si verifica quando, invece di esercitare un’attenzione passiva – meccanica – nei confronti delle mie reazioni, io cerco di percepirne attivamente la nascita. Per usare un’espressione mutuata dallo sport: gioco d’anticipo. Una nuova vigilanza sovrintende ora la mobilitazione della macchina biologica. Detto più semplicemente, un'attenzione attiva giace in attesa dei miei movimenti interni. Non sono più quindi le mie emozioni a interessarmi, ma la loro nascita; non più il loro movimento, bensì il sorgere di quel movimento informale che ne è all'origine.

È un sentire profondo e non più un osservare.

Quando la nostra attenzione è passiva, essa provoca l'emergere di pensieri ed emozioni, mentre al contrario, quando è attiva, allora i pensieri non emergono perché viene evitato in maniera naturale il processo di reazione all’evento. Badate bene, non c’è costrizione né desiderio di controllo in questo. Tutta l’energia dovuta all’evento viene in qualche modo trattenuta all’interno e non si disperde.

Quando la nostra attenzione opera secondo la modalità attiva accade una magia: ci accorgiamo che non vi è assolutamente nulla di oggettivo da percepire. Non resta alcun mondo oggettivo “là fuori”; tutto ciò che accade è che il mondo guarda se stesso secondo una modalità non duale. Esiste l'atto del vedere senza più nulla di oggettivo da vedere.

Ma come si produce l’attenzione attiva di cui abbiamo bisogno?
Essa è uno stato di vigilanza intensa ma rilassata che si risolve nella totale accettazione di quanto accade istante per istante. Stiamo parlando di un gesto interiore che si traduce nella sospensione del pensiero senza la sua soppressione. Una sospensione del film delle immagini nella mia mente, ottenuta senza averla cercata, come effetto collaterale del voler rimanere attenti a tutti i costi.

Perché possa funzionare al meglio io devo già essere in questo stato di attenzione quando accade l’evento, affinché possa sentire l’origine delle emozioni e contattare direttamente la loro paternità. Questa paternità, questa energia alla base di pensieri ed emozioni, è ciò che io veramente sono.
E questo non può essere descritto.
Sta a voi scoprirlo.

Salvatore Brizzi
(occupazione: domatore di fiumi)

PS: procuratevi il film Predestination del 2014, perché è un vero koan zen, da non perdere!


 
Vi ricordo che i due articoli dove meglio spiego nei dettagli la pratica del lavoro su di sé restano:
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