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martedì 8 dicembre 2015

Lo stato di attesa che conduce all'illuminazione


Sostiene Draco Daatson che per sconfiggere Cronos è sufficiente vivere nell’istante presente. Non esiste una tecnica elaborata per riuscirci. Non può esistere una tecnica per imparare a essere dove siamo sempre stati e dove saremo sempre, ossia Qui-e-Ora. Non esiste un cammino spirituale che ci porti dove siamo già. È sufficiente che restiamo dove siamo. In realtà noi siamo sempre liberi, ma ciò che accade di norma è che viviamo sbalzati fuori dal Qui-e-Ora, fuori dalla libertà, che invece è la nostra condizione naturale.

Le grandi correnti mistiche/religiose/filosofiche del mondo hanno tutte avuto origine con un uno scopo realizzativo; non si tratta di credi, teorie, idee, teologie e neppure dottrine, ma piuttosto di “veicoli”, ossia di pratiche empiriche. Si tratta di “esperimenti” da eseguire su di sé, qualcosa da fare e poi essere, non soltanto di qualcosa da pensare e poi credere.

Ognuno di noi possiede pienamente e in ogni momento questa Consapevolezza fondamentale e universale: è la Consapevolezza pura e semplice che avete in questo stesso attimo, mentre leggete, ma a cui non stavate prestando attenzione fino a un istante fa, perché eravate identificati nella lettura. Lei c’era ma non ne avevate coscienza. Riuscite allora a comprendere la differenza fra concentrazione e Consapevolezza? La concentrazione è passiva mentre la Consapevolezza è attiva, ossia dovete ricordarvene.

Poiché questa Consapevolezza primaria, fondamentale e suprema è sempre presente prima che tentiate di afferrarla – è ciò che voi siete, qualunque cosa facciate – non esiste in definitiva alcun sentiero che conduca ad essa, né c’è alcun modo di raggiungerla. Questa era la brutta notizia.

Le varie tradizioni, dove correttamente interpretate, suggeriscono come far tacere la mente indagatrice, come far cessare il tentativo di afferrare nel tempo ciò che è eterno e nello spazio ciò che è infinito, come spegnere la ricerca stessa, cosicché la Consapevolezza possa risplendere non più offuscata dalla volizione, dal “voler trovare”.

Dio è più vicino a me di quanto io non lo sia a me stesso.
Meister Eckhart

L’essenziale della ricerca, ossia la risposta (unica) alle domande: Chi sono io? Cosa è la Consapevolezza? Cosa è Dio? la si può trovare unicamente volgendo lo sguardo via dal pensiero volitivo. Ciò che davvero vuole l’autentico ricercatore è uno stato di non-volizione, uno smettere di allontanarsi dalla Consapevolezza primordiale, uno smettere di fuggirla a ogni istante con l’atto volitivo del volerla ottenere.

Non possiamo servirci del tempo a questo scopo. Possiamo utilizzare il tempo per qualunque altro scopo, ma non per questo. Il tempo esiste solamente quando c’è un divario psicologico fra ciò che è e ciò che dovrebbe essere. Se noi pensiamo che la Consapevolezza debba essere ottenuta perché non c’è ancora in questo momento... allora creiamo il tempo. Se non la siamo già, la dobbiamo ottenere, per cui ci occorrono spazio e tempo. Realizzare l’erroneità di questo modo di pensare significa liberarsene: un evento che non richiede nessuno sforzo e nessuna pratica. Il comprendere è immediato, intuitivo, non appartenente al tempo.

Ciò che ci acceca è il desiderio di raggiungere un obiettivo, il che implica la non accettazione di ciò che siamo adesso, di come siamo adesso e di dove siamo adesso. La Verità è però uno stato immutabile, già completo in se stesso in questo istante, non uno stato che debba essere raggiunto o un punto verso il quale possiamo evolverci o svilupparci. La Verità è ciò da cui partiamo, non ciò a cui dobbiamo arrivare.

Questa comprensione dovrebbe condurci a un “punto morto”. Un arresto del pensiero razionale. Una sospensione. Un’attesa… ma senza oggetto. Un’attesa che è uno stato interiore, in quanto non c’è nulla da attendere, essendo la risposta precedente la domanda. La vera meditazione è l’attendere senza prospettiva, l’attendere per l’attendere, che non distrugge il pensiero razionale, ma semplicemente lo ignora e in tal modo lo sorpassa. Non possiamo nemmeno restare in attesa della Consapevolezza, poiché la Consapevolezza non ha mai un inizio essendo sempre presente, un fuoco pulsante nel cuore di ogni pensiero, dove resta sempre in attesa.

Attraverso questa sospensione, questo restare in attesa, si verifica una sottile trasformazione della coscienza ordinaria, grazie alla quale l’attesa diviene un permanere, ossia uno “stare fuori dal tempo”. Se nello Zen e nel Tao si ha un atteggiamento verso il pensiero che include spesso sfiducia o addirittura disprezzo, noi, che apparteniamo alla tradizione filosofica occidentale, usiamo il pensiero come via, muovendoci in profondità dentro di esso, permettendogli di divenire sempre più sottile, finché non diviene un modo di rivelazione della Consapevolezza. Di fronte all’impossibilità di poter ottenere qualcosa che già siamo, e alla necessità del volerlo comunque realizzare, la mente razionale cede di schianto e lascia il posto all’intuizione, ottenendo così sprazzi di illuminazione.

Il restare in sospensione è sia la via che la meta: un aspettare che non ha mai fine, come un’inspirazione perpetua, mai seguita dall’espirazione. L’illuminazione – la Consapevolezza – non potrà mai essere trovata, poiché non è mai stata perduta. Siamo fatti di ciò che stiamo cercando, tuttavia non riusciamo a smettere di cercare. L’illuminazione è un mistero assoluto in quanto il suo verificarsi si colloca fuori dell’ambito della volontà. La si ottiene quando si smette di volerla e ci si lascia “ricondurre ad essa” approfittando del permanere in questo stato di attesa perpetua. Il devoto non cerca più Dio, bensì riceve da Dio lo slancio verso Dio, senza merito personale.

L’uomo non può che affidarsi alla Consapevolezza perché appartiene già originariamente ad essa. In effetti la sospensione del volere – posto che non sia praticata con un scopo – si fonda sulla nostra appartenenza a ciò di cui siamo in attesa. L’illuminazione esiste già perché già le apparteniamo. La disposizione meditativa dell’attesa è già la meta e costituisce l’essenza segreta del vero pensare, quando questo non è solo rumore mentale.

Buona attesa a tutti.

Salvatore Brizzi
(occupazione: domatore di fiumi)




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martedì 17 novembre 2015

Incrementare la resilienza nella macchina biologica


L’attenzione è la moneta più preziosa che ho per pagare la libertà interiore.
G.I. Gurdjieff

Quando emozioni come la paura, l’angoscia o la rabbia si impadroniscono di noi avviene un vero e proprio “sequestro cerebrale”, ossia le nostre capacità mentali razionali non rivestono più alcuna utilità, non hanno più voce in capitolo. Quando l’emozione è molto intensa possiamo essere sicuri che qualcuno o qualcosa è andato a toccare una nostra antica ferita emotiva carica di dolore. A rendere insormontabile un problema - sia esso lavorativo o familiare - non è mai il problema in sé, bensì il fatto che abbiamo perso la nostra intelligenza perché siamo stati “sequestrati” da un’emozione irrazionale scatenata da una ferita.

In meccanica esiste il concetto di resilienza, ossia la capacità di un metallo di assorbire energia di deformazione elastica. La capacità di ritornare alla sua forma originaria non appena cessa la forza che lo aveva deformato. Dal punto di vista psicologico è l’attitudine a far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre. Sono persone resilienti quelle che, immerse in circostanze avverse, riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti.

Di fronte all’evento avverso non è rilevante non provare l’emozione negativa che annulla temporaneamente la nostra intelligenza; pare infatti che fino a un certo grado di sviluppo della coscienza (stiamo parlando di maestria spirituale) non sia possibile evitarlo. È invece importante diventare come un materiale altamente resiliente, ossia capace di tornare velocemente e integralmente allo stato originario. L’intensità dell’emozione provata, in rapporto al lasso di tempo che impieghiamo per “tornare in noi” definisce in maniera netta - direi matematica - il nostro stato di coscienza.

Quali mezzi abbiamo a nostra disposizione per incrementare questa capacità?
Innanzitutto l’esperienza, ossia la ripetizione successiva di eventi che scatenano questo fenomeno incontrollabile. Questo è un metodo meccanico, in quanto accade indipendentemente dalla nostra volontà: la Vita ci costringe a fronteggiare ricorsivamente determinate situazioni di disagio emotivo. È sicuramente il metodo più lungo e inoltre non dà la certezza di alcun risultato, perché attraverso la sola ripetizione, se l’evento non viene mai elaborato coscientemente, ma unicamente subìto, non si ottiene una guarigione della ferita e potrebbe accadere che nella persona il rifiuto si vada accumulando fino a rendere insopportabile la situazione.

Sono sicuro che tutti voi vi siate stancati di rivivere il vostro passato anziché sperimentare un reale futuro. Dobbiamo pertanto sfruttare la ripetizione a nostro vantaggio in maniera cosciente, con lo scopo di liberarci dal loop dell’“eterno ritorno”. Portiamo quindi la nostra Attenzione consapevole sul disagio interiore. Assaporiamolo. Spogliamolo della sua veste morale (giusto/sbagliato) e sentiamolo unicamente per ciò che è: un evento fisico-elettrico. È normale provare dolore, ma non lo è provare sofferenza. Il dolore è solo una scarica elettrica, mentre la sofferenza è il rifiuto dell’evento legato a quella scarica elettrica.

La chiave è avere il Coraggio di non opporre resistenza al dolore emotivo. Per elaborare l’evento dobbiamo abituarci a farci sopraffare consapevolmente dalla situazione e dalle emozioni negative che ne derivano, così come ci lasceremmo affascinare dalla vista d’un vulcano in eruzione, percependolo terribile e incantevole allo stesso tempo. Non dobbiamo rifiutare quelle emozioni e quei pensieri come indesiderati; viviamoli fino in fondo, senza farci distrarre dalla sofferenza, senza giudizio. Diveniamo esploratori fermamente intenzionati a scoprire la radice energetica profonda di quanto stiamo provando. Scendiamo senza timore nella caverna, senza badare agli attori esterni del nostro dramma. Loro vivranno esattamente il destino che meritano, noi facciamo il nostro Lavoro di liberazione.

La vita ci pone esattamente nelle condizioni (lavorative, economiche, familiari e sessuali) più adatte a salire il nostro prossimo gradino evolutivo. Il nostro compito consiste nell’evitare di incolpare quelli che abbiamo intorno e concentrarci invece su ciò che proviamo all’interno. Nel lavoro magico-alchemico non esistono fatti belli o brutti, ma solo fenomeni elettro-chimici. Che sia rabbia, felicità o eccitazione sessuale... in verità, a un livello profondo, stiamo sempre parlando di fisica, non di psicologia. Abbiamo una perniciosa tendenza a interpretare i fenomeni elettrici in termini psicologici. Correggere una distorsione in un campo elettrico è diverso che elaborare un divorzio! Il grado di coinvolgimento psicologico risulta minore.

Il traguardo finale, la resilienza massima, si manifesta nella capacità di integrare istantaneamente il fenomeno elettrico-emotivo tanto da non riuscire più a considerarlo un disagio. Il fenomeno elettricamente doloroso viene spogliato dell’aspetto sofferenza, una maschera che lo appesantiva e di cui adesso non ha più bisogno, in quanto grazie alla nostra costante Attenzione la sua vera natura è venuta allo scoperto. L’energia emotiva prodotta nel processo ovviamente non scompare, al contrario, adesso si trova a nostra disposizione.
Ma questa è un’altra storia.

Salvatore Brizzi
(occupazione: domatore di fiumi)


 

Vi ricordo che i due articoli dove meglio spiego nei dettagli la pratica del lavoro su di sé restano:
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venerdì 6 novembre 2015

Come smettere di incarnarsi sulla Terra in 3 mosse


Sono milioni quelli che desiderano l'immortalità, e poi non sanno che fare la domenica pomeriggio se piove.
Susan Ertz, Anger in the Sky

In attesa del prossimo post, vi presento la versione integrale (50 minuti) del mio intervento al convegno Voci dai Mondi organizzato dal Gruppo Anima di Milano a Marzo 2015.

https://www.youtube.com/watch?v=dZBiosrkrVI

Come potete voi stessi vedere e ascoltare, nel corso della conferenza prendo in esame una nevrosi di origine New Age: chi ne viene colpito comincia a desiderare di non tornare più sulla Terra dopo la morte del corpo fisico. Queste persone disturbate vogliono evolvere spiritualmente (di norma attraverso meditazioni e recitazioni di mantra canalizzati da altre dimensioni) con il fine dichiarato di non tornare più su un pianeta schifoso come questo!

Dal momento che io nella mia vita non ho mai conosciuto nessuno che fosse alla sua cosiddetta “ultima incarnazione” (e di personaggi ne ho conosciuti), e dal momento che se qualcuno arriva davvero al punto da non dover più tornare su questo Pianeta Scuola... in realtà non vede l’ora di tornarci per aiutare gli altri... capite voi stessi quanto pericolosa sia questa nevrosi e come divenga urgente somministrare dei farmaci a coloro che ne manifestano i sintomi.

Se in vostra moglie, in vostro marito o nei vostri figli compaiono i sintomi di questa nevrosi (tendenza aberrante a nutrirsi di cibo proveniente dal mondo vegetale anziché animale, difficoltà a calpestare gli insetti o a investire con l’auto gli animali abbandonati, amore innaturale per le musiche di Enya) restate calmi e annottate su un diario ogni aspetto del fenomeno. Sappiate che non sono diventati stupidi, ma solo “diversamente intelligenti” e che le strutture sociali non vi lasceranno da soli a gestire i vostri familiari in difficoltà.

Fate soprattutto opera di prevenzione con i giovani. Sorvegliate i vostri figli, specie se stanno attraversando la difficile fase dell’adolescenza, durante la quale è più probabile che compaiano nevrosi. Se li sorprendete nascosti nella loro stanza a recitare sommessamente dei mantra anziché masturbarsi, oppure sentite odore d’incenso quando tornate a casa dopo il lavoro, avvisate la ASL di competenza, dove un consulente familiare potrà consigliarvi.

Se vi accennano al fatto che si sentono di passaggio sulla Terra oppure manifestano il desiderio di “entrare nella Chiara Luce”, voi inizialmente assecondateli, per non irritarli e non farli sentire incompresi – il che li allontanerebbe da voi e dall’unica fonte di aiuto – dopodichè utilizzate un tecnica che proviene dalla biodanza (ci avvaliamo di un male minore per scacciare un male maggiore) definita “Kick in the Ass” (da noi più conosciuta come Calcio nel Sedere). La tecnica è infallibile ma non bisogna abusarne, in quanto potrebbe insorgere come effetto collaterale il risveglio della Guendalina, un’energia mistica che, secondo gli antichi testi Veda, giacerebbe arrotolata dentro il buco del culo di ogni essere umano.
La tecnica del “Kick in the Ass” rientra nell'ambito della medicina naturale e può talvolta sostituirsi all’assunzione degli psicofarmaci.

Salvatore Brizzi
(occupazione: domatore di fiumi)

PS: procuratevi il film Predestination del 2014, perché è un vero koan zen, da non perdere!




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mercoledì 21 ottobre 2015

Cappuccetto Rosso favola esoterica


La goccia non si perde nell'oceano, bensì diviene consapevole di essere l'oceano stesso. Una differenza piuttosto importante, quando la goccia sei tu.

Si narra nella famosa favola dei fratelli Grimm che un giorno la mamma di Cappuccetto Rosso le diede un pezzo di focaccia e una bottiglia di vino da portare alla nonna che abitava nel bosco: “Va’ da brava, senza uscire di strada, sennò cadi...” è la sua raccomandazione. Cappuccetto Rosso parte ed entra nel bosco, qui incontra un lupo “ma non sapeva fosse una bestia tanto cattiva e non ne ebbe paura”.

Basterebbero già questi elementi per giustificare un’interpretazione esoterica di  questa favola oramai facente parte dell’immaginario collettivo. La bambina rappresenta un’anima che deve intraprendere un percorso evolutivo. Il cappuccetto rosso (che le viene regalato dalla nonna) rappresenta il paramento iniziatico indossato dal discepolo prima di affrontare una prova. La protagonista lascia la casa su indicazione della mamma (lo spirito), per compiere un cammino nel bosco e giungere dalla nonna, ossia la mamma della mamma (lo spirito consapevole): il punto di arrivo si trova a un’ottava superiore rispetto al punto di partenza. Porta con sé il pane e il vino (la carne e il sangue), i due alimenti simbolici per eccellenza.

Nonostante la raccomandazione della mamma di non deviare per non rischiare di cadere, quando Cappuccetto Rosso incontra il lupo non se ne spaventa e comincia a rispondere alle sue domande. Il bosco buio rappresenta il cammino dell’anima nella materia, questo è infatti il luogo dove incontra il lupo famelico, che simboleggia le brame della personalità, la quale si cura unicamente di riempirsi lo stomaco (la sua sopravvivenza). Cappuccetto Rosso non ne ha paura perché non si avvede della pericolosità dell’ascoltare la personalità anziché l’anima, per cui segue il consiglio del lupo e comincia a vagare nel bosco in cerca di fiori. Molto interessante la frase con cui il lupo convince la bimbetta: “Guarda un po’ quanti bei fiori ci sono nel bosco, Cappuccetto Rosso; perché non ti guardi attorno? Te ne stai tutta seria come se andassi a scuola, invece è tutto così allegro nel bosco!”

Il lupo la inganna distraendola dal suo cammino iniziatico. Le dice di guardarsi intorno, la affascina con le bellezze che si trovano nel bosco, a tal punto che la protagonista esce dal sentiero per raccogliere i fiori. Questo episodio rappresenta le anime che restano intrappolate nelle illusioni della materia e si dimenticano che il bosco va solo attraversato velocemente, senza perdere troppo tempo e senza prestare ascolto ai lupi.

Adesso arriviamo a un punto cruciale: mentre Cappuccetto Rosso è distratta dal bosco, il lupo corre dalla nonna e la mangia, quindi si traveste e finge di essere lei. Cosa significa? A causa del lungo tempo trascorso nel bosco la personalità famelica ha avuto il tempo di travestirsi da spirito. Il lupo ha preso le sembianze della realizzazione della consapevolezza finale. Cappuccetto Rosso crederà di aver compiuto il suo cammino iniziatico ed essere finalmente giunta dalla nonna, quando invece si troverà di fronte a un travestimento del lupo.

Questa è la fase più importante della prova del discepolo: deve stare in guardia rispetto alle false realizzazioni. Il suo scopo è “raggiungere la nonna” o “tornare a casa del Padre”, come accade anche nel viaggio iniziatico di Pinocchio, e come nella parabola del figliol prodigo, che si colloca a fondamento di queste fiabe esoteriche. Ma a un certo punto, proprio prima della realizzazione finale, l’iniziando può cadere nell’illusione mentale (un’ossessione che lo porta a credere di aver realizzato l’Uno) o emotiva (stati di beatitudine mistica). Il lupo ha inglobato la nonna dentro di sé e adesso finge di essere lei.

Cappuccetto Rosso si lascia ingannare e viene a sua volta mangiata dal lupo. Dopodichè il lupo si mette a dormire (la personalità addormentata).

A questo punto accade qualcosa di inaspettato, compare una figura nuova: il cacciatore. Apre con un paio di forbici la pancia del lupo e ne tira fuori prima la bambina e poi la nonna. Chi è costui che libera sia l’anima che lo spirito rimasti intrappolati nella macchina biologica, portando così la protagonista a realizzare la sua missione (il sacrificio della carne e del sangue serviti alla nonna/spirito, come in una messa)?

Il cacciatore è un potente shock addizionale provocato dalla ferma Volontà di risvegliarsi. Utilizza due simboli, uno maschile fallico, il fucile, e uno femminile, le forbici. Scrivono i fratelli Grimm: “Stava per puntare lo schioppo quando gli venne in mente che forse il lupo aveva ingoiato la nonna e che poteva ancora salvarla. Così non sparò, ma prese un paio di forbici e aprì la pancia del lupo addormentato.”

Il cacciatore avrebbe potuto uccidere rapidamente il lupo sparandogli con il fucile, ma in questo modo avrebbe condannato anche il contenuto del lupo; allora decide di non ucciderlo ed estrarre invece ciò che la personalità porta in sé: l’anima e lo spirito. In questo modo porta a compimento l’Opera alchemica.
“Che paura ho avuto! Era così buio nella pancia del lupo!” dice la protagonista ormai liberata.

Eccovi servita Cappuccetto Rosso... una favola per bambini!

Salvatore Brizzi
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